Quarto pezzo - Reboot

Voltò lo sguardo prima a destra e poi a sinistra. La strada era deserta. Di fronte a lui la facciata dell’edificio che ospitava il Blue Bell Hotel, il cui nome sull’insegna luminosa era parzialmente corrotto da alcune lampadine bruciate e mai sostituite: evidentemente anche questo posto, come tutto il resto intorno, aveva visto tempi migliori. Nonostante ciò era probabilmente uno dei posti migliori dove trovare alloggio in città, né troppo lussuoso, né troppo fatiscente, in grado di offrire una discreta comodità, al giusto prezzo, e garantendo allo stesso tempo quella piccola dose di tatto e di riservatezza che egli gradiva. La segretaria del suo capo, che gli aveva prenotato la camera, aveva interpretato perfettamente il suo desiderio. Thomas attraversò lesto la strada e spinse la porta a vetri, che cedette con un leggero cigolio. La hall sembrava deserta. Con la sola eccezione di una piccola luce oltre una porta socchiusa, dietro il bancone della reception, tutto era avvolto nelle tenebre. Dovrebbero ambientarci una storia di fantasmi in questo posto, pensò incamminandosi in silenzio verso l’unica sorgente di luce. Cercò di attirare l’attenzione di qualcuno con un leggero colpo di tosse, ma il suo tentativo non ebbe esito. Tossì due volte ancora, con maggior decisione: nulla. Maledizione, pensò. Fece per girare attorno al bancone per gettare lo sguardo oltre la porta socchiusa, quando un’ombra oscurò per un attimo quell’unica fioca luce. L’ombra fece improvvisamente capolino sulla soglia e, dopo una breve incertezza, si avvicinò al bancone e accese una lampada, rivelandosi a Thomas: l’ombra apparteneva ad una donna sulla trentina, non bella ma in un certo qual modo attraente. Il leggero trucco non riusciva del tutto a celare le prime rughe che le scavavano il viso. Lavorare la notte alla reception di un albergo, si convinse Thomas, doveva essere una di quelle attività che segnano sia nel fisico che nello spirito. La targhetta che brillava sull’uniforme rivelò a Thomas il nome della sua interlocutrice. “Buonasera Debbie”, esordì, “mi perdoni se mi presento solo a quest’ora, ma credo che ci sia una camera riservata per me.”
Debbie si illuminò di un bel sorriso, rivelando una dentatura bianca e pressoché perfetta. Thomas conosceva da anni quel vecchio trucco: rivolgersi alle persone pronunciandone il nome faceva scattare in loro qualcosa che le rendeva più malleabili e bendisposte.
“Buonasera a lei. E benvenuto al Blue Bell, signor…. signor?”. 
“Mi chiamo Reeson, Thomas Reeson.”
“Benvenuto sig. Reeson. Mi lasci controllare”. Debbie abbassò lo sguardo su un registro e Thomas ne approfittò per fare altrettanto nella leggera scollatura della donna i cui seni, seppur minuti, parevano essere ben disegnati. Fece sostare il proprio sguardo su un piccolo neo, seminascosto dall’orlo della camicetta, forse per un tempo eccessivo. Debbie probabilmente se ne accorse ma, se così fu, non parve esserne dispiaciuta. Gli regalò anzi un sorriso ancora più dolce e gli porse una chiave. “La sua stanza è la numero 410, sig. Reeson”, disse, “…ed è al quarto piano. L’ascensore è laggiù. Purtroppo è tardi per la cena”, aggiunse, “e la colazione non verrà servita prima delle sette di domattina”. Thomas aveva in realtà già mangiato qualche ora prima, ma una cena, magari a lume di candela con Debbie, l’avrebbe accettata volentieri. Ma non era quello che probabilmente la donna intendeva con le parole “purtroppo è tardi per la cena”…
“Non importa”, rispose Thomas sfuggendo ai suoi pensieri, ”a quest’ora ho solo bisogno di coricarmi. Grazie mille, Debbie, Buona notte.”
“Buona notte Th… sig. Reeson”.
Nel buio si avventurò lentamente alla sua destra, nella direzione che gli era stata indicata. Era una sua impressione, oppure Debbie poco fa stava per rivolgersi a lui usando il suo nome di battesimo? Trovò quasi subito un ascensore, ma la scritta “fuori servizio”, chissà perché, non lo stupì. Non senza sbuffare prese la rampa di scale lì accanto e trascinò se stesso e il suo bagaglio fino al piano. Una luce fioca illuminava quanto bastava il corridoio e non fece fatica ad individuare la propria stanza. Inserì la chiave nella serratura e la girò in senso antiorario. Un “clack” metallico gli confermò che il suo viaggio, per quel giorno, era giunto alla conclusione. L’arredamento della stanza era spartano, di gusto discutibile. Un letto singolo era celato da una polverosa coperta verde scuro. La tappezzeria a fiori alle pareti era scrostata in  più punti e rivelava sotto di essa una ulteriore carta da parati con un differente motivo floreale. Il bagno sembrava pulito e ciò tutto sommato era l’unica cosa che a lui importava. Aveva solo bisogno di una doccia calda, una sigaretta, e qualche ora di sonno. Il successivo sarebbe stato un giorno importante, aveva bisogno di rimettere insieme tutte le sue energie. Si sedette sul bordo del letto e si tolse le scarpe, quindi abbassò lo sguardo sul comodino: accanto al telefono era posato uno di quei foglietti plastificati dove solitamente sono riassunte le cose essenziali che il cliente di un hotel deve sapere. Per la linea esterna, digitare zero. Per comunicare con la reception, digitare nove. 
Thomas sollevò la cornetta.

Commenti

  1. Alla faccia dell'ispirazione.
    Ci piace! ;)

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  2. Lieto che vi piaccia! ;)
    Adesso sono curioso di conoscere il seguito. Thomas comporrà lo zero oppure il nove? Oppure ci pensera' su un attimo e subito riappendera' la cornetta ?

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