Quinto pezzo riscritto

Premessa: Scusate, mi merito la lapidazione, ma quando non si sa cosa scrivere e soprattutto la voglia è pari a quella di andare dal dentista è meglio evitare di prendere una penna in mano. Questo è il quinto pezzo riscritto, spero vi piaccia. Qualora ci fossero dei problemi, delle incomprensioni, qualsiasi cosa, ditemelo. 
Scusate ancora.



Il vecchio si stupiva ancora ogni notte, di fronte alla struttura illuminata solo dalla luce della pallida luna infilzata su una di quelle lugubri antenne paraboliche, del nome di quello che fu il teatro più in voga della provincia di Middlesbrough: Illusion d'Ombre. Rappresentava in maniera brutale seppur seducente come dovevano essere i ruggenti anni passati, i tristi anni futuri e quelli in cui il vecchio aprì gli occhi, da quella sera sempre spalancati come a replicarne la visione, di fronte alla donna più bella e crudele che avesse mai incontrato. La prima volta che mise piede all'Ilusion d'Ombre credette di essere entrato nel posto sbagliato. Un centinaio di persone fumavano, parlavano e ridevano così forte che le loro risate, in un mondo parallelo, avrebbero rotto il lampadario scintillante al centro del soffitto riccamente ornato da arzigogoli dorati e arricciati come pampini d'uva. Fumavano e fumavano, l'uno in faccia all'altro, condividendo, oltre alla propria indifferenza verso qualsiasi forma sociale di saluto, la serata che da lì sarebbe iniziata, splendida e dannatamente lunga. Vestiti di alta sartoria li avrebbero accompagnati fino al mattino tardi. Parlavano di ogni cosa, dalla più stupida e banale alla più banale e stupida. Il loro vocabolario contemplava solo parole altolocate, pulite in chissà quale fonte d'acqua santa, mentre con slancio di generosità lasciavano le restanti a coloro che a quell'ora erano già a letto, perché al mattino si va a lavorare e non si ha tempo di dedicarsi ai riti dell'imbellettamento quotidiano e al dubbio perenne del "dove si va stasera?". Il tutto pareva al giovanotto semplice, di bassa statura, sbarbato e incredulo, che una volta era il vecchio, una replica esatta degli anni '20 e '30, ed era esattamente questo: una nostalgia in maschera e niente più, d'altronde non si vuole mai vivere nell'epoca in cui si vive.
La musica proveniente dal palco zittì per un attimo tutte quelle risate e discorsi che avevano intontito il giovanotto, e la gente cominciò a sedersi sulle poltrone, lisciandosi i vestiti, un aggiustata ai capelli lucidi e perfetti, e un sorriso tirato, da cui scivolava un'ultima risata, offerto alla figura che dalle quinte scivolava leggiadra al centro del palco. Il giovanotto, fissandola, si sedette tra le prime file, rubando involontariamente la poltrona a un uomo dalla corporatura troppo ingombrante per poter reggere l'intero spettacolo senza sbuffare e criticare la scomodità che gli offriva il suo seggio, e mai avrebbe immaginato che dopo pochi istanti sarebbe rimasto solo nel teatro, solo assieme alla fantasia che accompagna la vista prolungata di una donna diversa da tutte le altre. Un abito nero ornato di diamanti dalle dimensioni di una nocciola, con una gonna allungata da sottili fili neri che le solleticavano le bianche cosce, le fasciava il corpo snello e alto che danzava con le labbra da cui scaturiva la voce roca, ma allo stesso tempo così limpida, come una fiamma del paradiso. I capelli raccolti in una crocchia castana potevano essere come uno di quei punti focali che l'occhio allenato del critico d'arte trova nei dipinti dei geni del pennello. Le ciglia alte fino al soffitto battevano al ritmo dei grandi occhi che al giovanotto, seduto solo in mezzo a un centinaio di persone, sembrarono marroni come la terra che suo padre coltivava da quando era nato. A spettacolo finito l'applauso esplose in un assordante tuono di palmi di mano infuocati, mentre quello del giovanotto fu timido e raccolto, come se in mezzo al frastuono lei avesse potuto sentire solo e unicamente il suo. Solo un suono non gli parve familiare nel ricordo. Un suono molesto e irritante. Il vecchio emerse dalla sua memoria, tirò fuori il cellulare dalla tasca interna del cappotto e rispose. 

Commenti

  1. ciao a tutti!! scusate se non vi ho più seguiti ma non riuscivo ad entrare nel blog e credevo di dover aspettare ulteriori mail per gli svliluppi.... hahahahahah!!! ora mi sono letta tutto tutto, compresi i vostri commenti.

    baci baci

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  2. Se questi sono i pezzi che scrivi quando sei scoglionato non oso immaginare cosa potresti scrivere in un momento di ispirazione. Complimenti.

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  3. Credo sia giusto dividere in capitoli per rendere tutto più strutturato. Ho riportato il pezzo di Denny nella pagina del racconto così potrete leggerlo completo. Adesso tocca a Loredana.

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  4. Finalmente sono tornata anche io, ragazzi! Scusate l'assenza... ho appena fatto una full immersion in tutti i post precedenti, ed approvo pienamente come avete organizzato la storia. I pezzi riscritti mi sembrano ottimi, e non vedo l'ora di partecipare anche io! ^_^

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  5. Attenzione ai dettagli: il vecchio all'inizio indossa un impermeabile grigio mentre qui lo ritroviamo con un cappotto.

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    1. Il racconto è buono, ma dobbiamo precisare il periodo storico. Io pensavo gli anni 70/80,in questo caso, il cellulare non va bene.

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    2. Mi improvviso correttrice di bozze e correggo io il particolare del cappotto (e cercherò anche, appena possibile, di armonizzare un po' il testo).
      Il problema del cellulare in effetti c'è.
      Come facciamo?

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    3. Il vecchio lo faccio andare a casa, semplicemente, e lì sentirà lo squillo dl telefono. Fila?

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    4. Occhio gente! Se lo ambientiamo negli anni settanta allora il vecchio così vecchio non è! Mi diventa un cinquantenne. Siamo sicuri?

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    5. In realtà io pensavo fosse già stabilito che l'ambientazione fosse intorno agli anni 70/80.
      Non credo che occorra fare riferimento all'età ma lo collocherei sotto la 60ina. Negli anni 20 aveva 20anni circa.

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    6. Si lo so. È per questo che ho fatto in modo che Debbie nella quarta parte consultasse un registro anziché un PC. Però sto dicendo che non me lo puoi chiamare vecchio. Vecchio e' chi ha passato gli ottanta, secondo me

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    7. Un ottantenne è un anziano (per definizione proprio) quindi non è sbagliato dire "vecchio" riferendosi a quell'età. Quando noi appelliamo il protagonista con vecchio lo facciamo solo per distinguerlo e credo che la stessa cosa sia per il lettore. Che abbia 59 anni, 64 o 69 è relativo.

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    8. Dipende chi è il lettore. Noi non sappiamo chi ci leggerà

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  6. BTW, c'è un punto in una delle parti precedenti dove di dice ancora che "sono le due passate",
    Si era detto di toglierlo mi sembra, no?

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    1. Si, si. Non ho ancora avuto tempo di dedicarmici con attenzione. Appena posso sistemo tutto anche perché ci sono delle cose da rivedere nella prima parte secondo me. Per adesso andiamo avanti. Ho già affidato l'incarico.

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    2. Togliendo "sono le due passate" se leggi non ha senso il riferimento ad Ehlèn. Possiamo anche toglierla, non credo ne sentiremo la mancanza.

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