FINE (Prima revisione)

1

Ad uno spettatore casuale, Edgewood Road non sarebbe apparsa diversa da una qualsiasi altra strada della città di Middlesbrough; una via come un’altra tesa ad imbrunire alla presenza di un tenue residuo lunare.
Le abitazioni, basse e allineate, conferivano al paesaggio un aspetto ordinato e impersonale, irreale quasi, se non fosse stato per un paio di cartelli stradali, testimonianza inconsapevole di una civiltà a riposo.
La luce di un lampione, l’unico che avesse mai funzionato, smorzava l’oscurità che inghiottiva i profili degli ultimi passanti ancora in circolazione. Ma, seppur presi dall'urgenza di tornare a casa prima che la notte li sorprendesse, gli abitanti di Edgewood Road non mancavano di rivolgere almeno per un istante lo sguardo in direzione del vecchio edificio all'angolo della strada.
Sapevano, prima ancora di voltarsi, che lui sarebbe stato lì: un uomo, sempre lo stesso.
Inizialmente mossi a curiosità, avevano smesso da tempo di interrogarsi sul motivo di quel bizzarro comportamento; lo rispettavano, rassicurati dalla sua presenza così discreta.
Nessuno conosceva la sua storia, ammesso che ne avesse una.
Seduto di fronte alla struttura, antica sede di un celebre teatro, l’uomo fissava l’ampio portone d’ingresso. Illusion d’ombre, recitava l’insegna fatiscente.
Lui era là, ogni notte.
Il vecchio impermeabile grigio lo riparava a malapena dal vento umido e deciso che a Middlesbrough non scherza in quella stagione. I pantaloni ormai più grandi di almeno due taglie erano di un verde arrugginito e antico, quasi volessero urlare agli ignari abitanti 'il suo posto è questo' e lo era perché stava aspettando lei, da una vita, da sempre, da ancor prima di nascere, da ancor prima che la vostra curiosità iniziasse a sfumare via mimetizzando nel buio e nello sfondo di Edgewood Road la storia di un uomo che aveva conosciuto il vero Amore.
Era stato molto tempo fa, dal vecchio teatro si potevano sentire i discorsi dei benestanti e l'orchestrina suonava Lily Marlene.
Era stato molto tempo fa, le donne erano bellissime e ti facevano dei giochi con gli occhi e con gli angoli rossi delle labbra, le stesse labbra che una volta avevano sussurrato all'orecchio del vecchio sconosciuto: "Ti prego, portami via da qui".
Era stato molto tempo fa, nuvole di fumo e di patchouli nell'aria. Un gioco di prestigio e l'aveva fatta sparire. Illusion d’ombre.
L'impassibile orologio del vecchio campanile batté un colpo solo, l'una.
Con le spalle ad un muro che non avrebbe avuto granché da aggiungere al suo già sporco vestiario, l'uomo si passò una mano tra i capelli.
Lo scorrere del tempo l'aveva accettato perché era la prassi, non perché gli facesse piacere vedere allo specchio un uomo dall'aspetto ancora più invecchiato di suo padre.
Si accese un fiammifero tra i denti perché aveva deciso di smettere di fumare; ne portava ancora un pacchetto stropicciato in tasca soltanto per avere qualcosa da maltrattare con le dita.
L'odore di zolfo nel naso ed il sapore di legno in bocca, non ci aveva fatto caso le altre volte, ma quegli aromi gli ricordavano un periodo ben noto della sua vita anche se sembrava passato tanto di quel tempo da allora che a tratti gli pareva di averlo soltanto immaginato o visto da qualche parte.


2

Thomas camminava nella strada ormai deserta alla ricerca del Blue Bell Hotel, dove avrebbe alloggiato per tutto il periodo di permanenza a Middlesbrough, quando udì il rintocco del campanile.
“L'una!” Pensò. “E' davvero tardi!” Ma quello stesso pensiero gli strappò un malizioso sorriso. Quel ritardo aveva un nome: Ehlèn, la bella e passionale pianista, conosciuta ad uno dei tanti concerti a cui Thomas era solito partecipare, per diletto ma anche per lavoro.
Thomas era un grande appassionato di musica; troppo goffo per ballare e troppo stonato per cantare, la studiava in ogni sua forma, sfumatura o interpretazione. L’assunzione alla famosa rivista ‘ARTicle’ era stata la conseguenza naturale della sua passione.
Accompagnato dai suoi pensieri, arrivò finalmente all'hotel.
Voltò lo sguardo prima a destra e poi a sinistra. La strada era deserta. Di fronte a lui la facciata dell’edificio che ospitava il Blue Bell Hotel, il cui nome sull'insegna luminosa era parzialmente corrotto da alcune lampadine bruciate e mai sostituite: evidentemente anche questo posto, come tutto il resto intorno, aveva visto tempi migliori. Nonostante ciò, era probabilmente uno dei posti migliori dove trovare alloggio in città, né troppo lussuoso, né troppo fatiscente, in grado di offrire una discreta comodità, al giusto prezzo, garantendo allo stesso tempo quella piccola dose di tatto e di riservatezza che egli gradiva.
La segretaria del suo capo, che gli aveva prenotato la camera, aveva interpretato perfettamente il suo desiderio.
Thomas attraversò lesto la strada e spinse la porta a vetri, che cedette con un leggero cigolio. La hall sembrava deserta. Con la sola eccezione di una piccola luce oltre una porta socchiusa, dietro il bancone della reception, tutto era avvolto nelle tenebre. Dovrebbero ambientarci una storia di fantasmi in questo posto, pensò incamminandosi in silenzio verso l’unica sorgente di luce. Cercò di attirare l’attenzione di qualcuno con un leggero colpo di tosse, ma il suo tentativo non ebbe esito. Tossì due volte ancora, con maggior decisione: nulla. Maledizione, pensò. Fece per girare attorno al bancone per gettare lo sguardo oltre la porta socchiusa, quando un’ombra oscurò per un attimo quell'unica fioca luce. L’ombra fece improvvisamente capolino sulla soglia e, dopo una breve incertezza, si avvicinò al bancone e accese una lampada, rivelandosi a Thomas: l’ombra apparteneva ad una donna sulla trentina, non bella ma in un certo qual modo attraente. Il leggero trucco non riusciva del tutto a celare le prime rughe che le scavavano il viso. Lavorare la notte alla reception di un albergo, si convinse Thomas, doveva essere una di quelle attività che segnano sia nel fisico che nello spirito. La targhetta che brillava sull'uniforme rivelò a Thomas il nome della sua interlocutrice.
“Buonasera Debbie”, esordì, “mi perdoni se mi presento solo a quest’ora, ma credo che ci sia una camera riservata per me.”
Debbie si illuminò di un bel sorriso, rivelando una dentatura bianca e pressoché perfetta. Thomas conosceva da anni quel vecchio trucco: rivolgersi alle persone pronunciandone il nome faceva scattare in loro qualcosa che le rendeva più malleabili e bendisposte.
“Buonasera a lei. E benvenuto al Blue Bell, signor… signor?”.
“Mi chiamo Reeson, Thomas Reeson.”
“Benvenuto sig. Reeson. Mi lasci controllare”.
Debbie abbassò lo sguardo su un registro e Thomas ne approfittò per fare altrettanto nella leggera scollatura della donna i cui seni, seppur minuti, parevano essere ben disegnati. Fece sostare il proprio sguardo su un piccolo neo, seminascosto dall'orlo della camicetta, forse per un tempo eccessivo. Debbie probabilmente se ne accorse ma, se così fu, non parve esserne dispiaciuta. Gli regalò anzi un sorriso ancora più dolce e gli porse una chiave. “La sua stanza è la numero 410, sig. Reeson”, disse, “…ed è al quarto piano. L’ascensore è laggiù. Purtroppo è tardi per la cena”, aggiunse, “e la colazione non verrà servita prima delle sette di domattina”. Thomas aveva in realtà già mangiato qualche ora prima, ma una cena, magari a lume di candela con Debbie, l’avrebbe accettata volentieri. Ma non era quello che probabilmente la donna intendeva con le parole “purtroppo è tardi per la cena”…
“Non importa”, rispose Thomas sfuggendo ai suoi pensieri, ”a quest’ora ho solo bisogno di coricarmi. Grazie mille, Debbie. Buona notte.”
“Buona notte Th… sig. Reeson”.
Nel buio si avventurò lentamente alla sua destra, nella direzione che gli era stata indicata. Era una sua impressione, oppure Debbie poco fa stava per rivolgersi a lui usando il suo nome di battesimo? Trovò quasi subito un ascensore, ma la scritta “fuori servizio”, chissà perché, non lo stupì. Non senza sbuffare prese la rampa di scale lì accanto e trascinò se stesso e il suo bagaglio fino al piano. Una luce fioca illuminava quanto bastava il corridoio e non fece fatica ad individuare la propria stanza. Inserì la chiave nella serratura e la girò in senso antiorario. Un “clack” metallico gli confermò che il suo viaggio, per quel giorno, era giunto alla conclusione. L’arredamento della stanza era spartano, di gusto discutibile. Un letto singolo era celato da una polverosa coperta verde scuro. La tappezzeria a fiori alle pareti era scrostata in  più punti e rivelava sotto di essa una ulteriore carta da parati con un differente motivo floreale. Il bagno sembrava pulito e ciò tutto sommato era l’unica cosa che a lui importava. Aveva solo bisogno di una doccia calda, una sigaretta, e qualche ora di sonno. Il successivo sarebbe stato un giorno importante, aveva bisogno di rimettere insieme tutte le sue energie. Si sedette sul bordo del letto e si tolse le scarpe, quindi abbassò lo sguardo sul comodino: accanto al telefono era posato uno di quei foglietti plastificati dove solitamente sono riassunte le cose essenziali che il cliente di un hotel deve sapere. Per la linea esterna, digitare zero. Per comunicare con la reception, digitare nove.
Thomas sollevò la cornetta.


Il vecchio si stupiva ancora ogni notte, di fronte alla struttura illuminata solo dalla luce della pallida luna infilzata su una di quelle lugubri antenne paraboliche, del nome di quello che fu il teatro più in voga della città di Middlesbrough: Illusion d'Ombre. Rappresentava in maniera brutale seppur seducente come dovevano essere i ruggenti anni passati, i tristi anni futuri e quelli in cui il vecchio aprì gli occhi, da quella sera sempre spalancati come a replicarne la visione, di fronte alla donna più bella che avesse mai incontrato.
La prima volta che mise piede all'Ilusion d'Ombre credette di essere entrato nel posto sbagliato. Un centinaio di persone fumavano, parlavano e ridevano così forte che le loro risate avrebbero rotto il lampadario scintillante al centro del soffitto riccamente ornato da arzigogoli dorati e arricciati come pampini d'uva. Fumavano e fumavano, l'uno in faccia all'altro, condividendo, oltre alla propria indifferenza verso qualsiasi forma sociale di saluto, la serata che da lì sarebbe iniziata, splendida e dannatamente lunga. Vestiti di alta sartoria li avrebbero accompagnati fino al mattino tardi.
Il tutto pareva al giovanotto semplice, di bassa statura, sbarbato e incredulo, una replica esatta degli anni '20 e '30, ed era esattamente questo: una nostalgia in maschera e niente più, d'altronde non si vuole mai vivere nell'epoca in cui si vive.
La musica proveniente dal palco zittì per un attimo tutte quelle risate e discorsi che avevano intontito il giovanotto, e la gente cominciò a sedersi sulle poltrone, lisciandosi i vestiti, un aggiustata ai capelli lucidi e perfetti, e un sorriso tirato, da cui scivolava un'ultima risata, offerto alla figura che dalle quinte scivolava leggiadra al centro del palco. Il giovanotto, fissandola, si sedette tra le prime file, rubando involontariamente la poltrona a un uomo dalla corporatura troppo ingombrante per poter reggere l'intero spettacolo senza sbuffare e criticare la scomodità che gli offriva il suo seggio, e mai avrebbe immaginato che dopo pochi istanti sarebbe rimasto solo nel teatro, solo assieme alla fantasia che accompagna la vista prolungata di una donna diversa da tutte le altre. Un abito nero ornato di diamanti con una gonna allungata da sottili fili neri che le solleticavano le bianche cosce, le fasciava il corpo snello e alto che danzava con le labbra da cui scaturiva la voce roca, ma allo stesso tempo così limpida, come una fiamma del paradiso. I capelli raccolti in una crocchia castana potevano essere come uno di quei punti focali che l'occhio allenato del critico d'arte trova nei dipinti dei geni del pennello. Gli occhi che si svelavano fra un battito di ciglia e l'altro incantarono il giovanotto seduto in mezzo a un centinaio di persone come fosse solo a scrutare il cielo. A spettacolo finito l'applauso esplose in un assordante tuono di palmi di mano infuocati, mentre quello del giovanotto fu timido e raccolto, come se in mezzo al frastuono lei avesse potuto sentire solo e unicamente il suo. Solo un suono non gli parve familiare nel ricordo. Un suono molesto e irritante. Il vecchio emerse dalla sua memoria, tirò fuori il cellulare dalla tasca interna dell'impermeabile e rispose. 

4

"Sì. Sono arrivato." Sbuffo di fumo, cenere lanciata un po’ a caso verso il posacenere di plastica con il logo dell’hotel stampato storto. "Sì. So cosa fare." Altra boccata di fumo-ossigeno. Sospiro rauco. "Sì. No, non voglio smettere." Ma erano fatti suoi se voleva continuare a fumare, o no? Lo aiutava a concentrarsi, soprattutto quando c’era di mezzo un lavoro delicato. E quello lo era.
"Tranquillo. So per cosa vengo pagato, e so come farlo. Sì. Mi faccio sentire io, quando ho un risultato." Clic. Conversazione finita. Thomas non amava dilungarsi al telefono, né a voce. Poche parole, ma scelte bene.
Spense la sigaretta, un ultimo sospiro rauco che assomigliava ad una tosse malcelata, e via in bagno per la sospirata doccia, senza dilungarsi. Il tempo era scarso, e le azioni da fare tante.
Dopo una vigorosa asciugata essenziale si buttò sul letto, prese una busta sottile in una delle tasche interne dell’impermeabile che aveva gettato lì entrando in stanza e ne fece uscire un paio di fogli scritti a mano, i suoi appunti, radi quanto le parole che pronunciava. Era più corretto chiamarli promemoria. Illusion d’ombre, 1934. Un paio di nomi, forse un’origine straniera. Due fotografie, un po’ sbiadite: un giovanotto con i capelli lisciati all'indietro, impomatati, un abito di sartoria (anni ’30? Alla Elliott Ness, sbuffò Thomas tra sé e sé), uno sguardo lontano, da artista impegnato nella sua prossima creazione. L’altra foto sembrava uscita direttamente da un altro mondo. Bruciata per metà e ingiallita, ritraeva una donna, di schiena, mentre si voltava verso il fotografo. Nonostante tutto, si poteva distinguere chiaramente che lei non era come tutte le altre. Anzi, non sembrava essere esistita sul serio. "Sì, ma esisterà ancora?" Si chiese Thomas, studiando quegli zigomi ripidi e quegli occhi vividi, nonostante il tempo passato. Colui che si preoccupava del suo vizio del fumo, e che lo pagava piuttosto bene per il suo talento di ricercatore, voleva sapere. Alzò le due foto e le avvicinò: "c'è un legame tra voi?"
Rimise tutto nella busta, che lasciò cadere sul pavimento, chiuse gli occhi, s’impose di dormire. Domani inizia la caccia.

La luce fioca del sole si insinuò quasi con timidezza tra le fessure della tapparella abbassata, disegnando i contorni dei mobili ed accarezzando il ricamo floreale della tappezzeria. Un raggio raggiunse le palpebre ancora abbassate di Thomas, che corrugò la fronte, cercando di trattenere stretta a sé la beatitudine sospesa del sonno.
Troppo tardi. Già la consapevolezza di dove si trovava, aiutata dalla ruvidezza della coperta, si era fatta strada nella sua mente, e le sue palpebre si stavano aprendo con riluttanza ad incontrare la nuova giornata. Abbandonando con rammarico quella pace, l'uomo allungò una mano verso la sveglia sul comodino.
Imprecò sottovoce, con voce ancora impastata. Le dieci. Come aveva fatto a dormire fino a quell'ora? Certo, la notte precedente era andato a letto decisamente tardi, ma non era un buon motivo per sprecare l'intera mattina. Si costrinse a mettersi in piedi ed a dirigersi verso il bagno.
Circa un quarto d'ora dopo scese le scale dell'albergo, cercando di lisciare la camicia stropicciata dalla prolungata permanenza in valigia. Appena mise piede nella reception, ora illuminata, i suoi occhi corsero al bancone, ma le sue speranze di rivedere Debbie alla luce del sole si scontrarono con la sagoma di un giovane castano, pallido e lentigginoso, che masticava una gomma mentre fissava con occhi assenti l'entrata. Avrebbe dovuto accontentarsi.
Si avvicinò, attirando l'attenzione dell'impiegato con un colpetto di tosse.
- Buongiorno.- salutò l'altro con voce strascicata - La colazione è ancora disponibile, prima stanza sulla destra. Serve altro?-
Thomas tentennò per un attimo, poi domandò una cartina della città, e qualche informazione sulla biblioteca pubblica. Di fronte ad una tazza di caffè fumante ed ad una fragrante brioche, studiò l'intreccio delle vie che già aveva osservato mentre preparava quell'indagine. I suoi occhi ormai liberi dal sonno individuarono subito la collocazione del teatro.
Illusion d'ombre. Un'ombra su cui lui avrebbe presto gettato la luce.
Prima di recarsi là, però, doveva farsi un'idea precisa su cosa cercare. Il suo istinto, che lo aveva aiutato a conquistarsi a fatica una nicchia incerta nel mondo della critica musicale, doveva cedere il passo alla razionalità ed al buonsenso che gli avevano permesso di mantenerlo. D'altra parte, doveva ammetterlo, il guadagno che questa indagine poteva procurargli gli avrebbe permesso di tirare un po' il fiato, dal momento che le sue condizioni economiche, per quanto stabili, non potevano certo dirsi floride.
Per questo, una volta terminata la colazione, Thomas si incamminò senza indugio verso la biblioteca della città, la sede dell'archivio. Gli stralci di informazione che aveva raccolto sul teatro e sui suoi misteri sarebbero presto stati integrati con qualcosa di più sostanzioso, o almeno così sperava. Middlesbrough, alla luce del sole, appariva decisamente meno desolata di quella che era stata la sua prima impressione, la notte precedente, ma non aveva il tempo per una visita turistica. Forse più tardi, magari quando Debbie avesse avuto un giorno libero... Scosse la testa. Quel genere di distrazioni gli aveva già procurato abbastanza problemi in passato, ora doveva assolutamente rimanere concentrato.

5

La biblioteca di Middlesbrough era un edificio moderno, con pareti grigie e grandi vetrate trasparenti, all'interno file e file di scaffali traboccanti di libri, sotto le fredde luci al neon. Thomas esitò per un attimo, poi si diresse verso il bancone all'entrata.
- Buongiorno, sono Thomas Reeson. Ho telefonato la settimana scorsa per una ricerca...
L'anziana signora dall'altra parte del sobrio ripiano di legno, ingombro di libri e carte, sollevò lo sguardo e strizzò gli occhi azzurri dietro le lenti spesse, nello sforzo di richiamare alla mente la voce. Poi la sua espressione si rischiarò:
- Signor Reeson, ma naturalmente! Mi scusi, ma mi aspettavo qualcuno un po' più... anziano, ecco. Perché un giovanotto come lei dovrebbe interessarsi ad un edificio abbandonato da così tanto tempo? Certo, una volta era così bello...
La voce si perse in un mormorio malinconico, e Thomas scrutò con rinnovata attenzione il volto rugoso. Quella donna leggermente sovrappeso, avvolta in un sobrio vestito grigio, doveva avere circa ottanta anni.
- Lei è sempre vissuta a Middlesbrough? Era qui quando Illusion d'ombre era aperto?-
- Facevo le pulizie lì dentro, caro.- rispose la donna, mentre si alzava dalla sedia e recuperava da un cassetto una piccola chiave. Con un sospiro, fece cenno al giovane di seguirla tra le file di scaffali, in direzione delle scale che conducevano nel seminterrato della biblioteca.
- Era un magnifico teatro, così lussuoso, scintillante di cristalli e oro. Tutte le persone benestanti di Middlesbrough e della provincia si radunavano per i suoi spettacoli, era un evento imperdibile. E che spettacoli! Oh, vado ancora al cinema, certo, ma quel teatro... quel teatro aveva qualcosa di speciale. Magia, si potrebbe definirla.-
Thomas sussultò, in parte perché quelle parole si intrecciavano perfettamente con altre che aveva già sentito, in parte perché uno spiffero di aria gelida era appena uscito dalla porta del seminterrato per infilarsi nella sua giacca. Si sarebbe di sicuro preso un raffreddore a lavorare là sotto, ma questo non lo avrebbe fermato.
- E cosa mi sa dire delle condizioni attuali del teatro?-
La bibliotecaria gli lanciò un'occhiata penetrante e rimase in silenzio per un momento, poi scrollò le spalle.
- Oh, è una vergogna, una vera vergogna che abbiano permesso ad un posto così affascinante di essere ridotto in quello stato. Girano voci che sia stato venduto un'altra volta, pare che nessuno sappia cosa farsene!-
- Forse c'è qualche motivo per cui nessuno vuole tenerlo, non trova?- suggerì Thomas:- Ho sentito delle storie...-
Lei non diede cenno di averlo sentito, cambiando frettolosamente argomento:- Ora devo tornare al lavoro, ma ho già preparato qui accanto al tavolo gli scatoloni con i giornali di quel periodo. Se le serve altro, deve soltanto chiedere.-
Thomas ringraziò ed attese che la porta si richiudesse per esaminare il suo nuovo spazio di lavoro. La luce era abbondante, grazie ai lampadari che pendevano dal soffitto scrostato, e metteva in risalto la danza del pulviscolo dorato tra le pile di scatoloni e le file di scaffali metallici. Tutto sommato, l'archivio era molto più pulito ed ordinato di quanto si fosse aspettato. Aveva anche a disposizione una scrivania, con una sedia imbottita che doveva avere visto giorni migliori, ma era ancora confortevole. Si accomodò di fronte al banco di legno, lo ripulì distrattamente con un rapido colpo di mano, aprì il primo scatolone ed iniziò a rovistare tra i giornali.
Ci volle più di un'ora per arrivare finalmente a qualcosa di interessante. Molti articoli avevano menzionato Illusion d'ombre, recensendo i suoi spettacoli o riferendo gossip sui suoi frequentatori, ma soltanto una fotografia, finora, era riuscita ad attirare la sua attenzione. Thomas estrasse dalla sua borsa l'immagine che aveva esaminato la sera prima, per assicurarsi che il volto impresso nella sua memoria fosse corretto, fosse esattamente lo stesso che sorrideva in quell'immagine conservatasi per decenni sulla carta fragile di un quotidiano. Era lei, la donna misteriosa.
Anche l'anno corrispondeva, dato che il giornale che teneva delicatamente tra le mani, timoroso di lacerarne la carta ingiallita, risaliva al novembre del 1934. La figura snella e sinuosa stava appoggiata ad una colonna, all'entrata del maestoso teatro, avvolta in un abito di seta, i capelli raccolti in uno chignon, una ciocca birichina a ricadere tra gli occhi maliziosi. Il sorriso intrigante di una donna sicura del proprio fascino, ma...
Ma Thomas amava definirsi un passabile, se non buono, conoscitore del sesso opposto. E quel sorriso rivolto ai giornalisti non aveva lo stesso calore di quello che l'altro fotografo aveva catturato. La foto di cui era entrato in possesso era stata scattata per qualcuno a cui quella donna teneva.
In ogni caso, non era quello il punto. Non la foto, ma l'articolo che la accompagnava. Il giornalista sentì un brivido scorrergli lungo la schiena mentre leggeva quelle scarne righe, nero su bianco, la conferma di quello che gli era stato detto solo pochi giorni prima.
"Tragico incidente all'Illusion d'ombre. Vedette del teatro schiacciata da un crollo del soffitto".
Thomas si stropicciò gli occhi stanchi per il lavoro prolungato ed iniziò a leggere. Poco dopo, afferrò una penna e prese alcuni furiosi appunti sui fogli ancora quasi intonsi che aveva davanti.

L’articolo del tragico incidente era stato pubblicato sul Sunday post, un quotidiano locale molto in voga a quei tempi.
Il pezzo del giornale che Thomas delicatamente poggiò sul tavolo, riportava una parte del rapporto della polizia riguardante la dinamica dell’incidente:
"Confrontando le informazioni emerse dal sopralluogo effettuato dai vigili del fuoco e le testimonianze di alcuni clienti del teatro, si ritiene che la caduta parziale del soffitto e in particolare della zona sottostante il palco, sia stata causata da un incendio che ha provocato il cedimento di alcune travi in legno che sostenevano la struttura. L'incidente ha causato la morte della cantante Natalie Rochester (22 anni) e il ferimento di dodici persone causato dai calcinacci precipitati sulla folla."
Thomas cercò di sistemarsi più comodamente sulla sedia, quando un altro ritaglio di giornale attirò la sua attenzione. "Illusion d’ombre: si apre la pista all'azione dolosa".
Il nuovo articolo era stato scritto una settimana dopo l’incidente e riportava la perizia finale effettuata dalla polizia una volta ricevuti i risultati delle analisi condotte sulle prove raccolte:
"Il cedimento strutturale delle travi causato dalla carbonizzazione del legno dovuta all'incendio è stato di natura dolosa. La pista del dolo è stata confermata dal ritrovamento di un liquido infiammabile simile al gasolio. La sostanza è stata ritrovata su più parti del tetto".
Thomas alzò le sopracciglia in segno di stupore cercando di raccogliere i pensieri e fare mente locale.
La cosa si fa interessante, pensò. Ho bisogno di maggiori informazioni se voglio scrivere un pezzo in grado di zittire quel vecchio petulante di Edward. Stasera lo chiamerò per aggiornarlo sui fatti, cosi non mi assillerà per almeno un paio di giorni.
Edward, il capo redattore di Thomas, era un uomo sulla cinquantina, grassottello, pacato e con il viso così costantemente corrugato da assomigliare a una tartaruga gigante, nomignolo affibbiatogli dagli suoi stessi colleghi. Aveva inviato il giovane a Middlesbrough per indagare sulla morte di Natalie Rochester, figlia di un famoso deputato e capitano d’industria degli anni venti, e sulle strane voci che giravano sul conto della ragazza, scappata di casa per rincorrere il suo sogno di ballerina.
Edward aveva avuto la geniale idea, come più volte ribadiva a se stesso, di realizzare una nuova rubrica basata sul genere noir e aveva incaricato Thomas di scovare una storia accattivante da proporre ai lettori. L’idea non andava tanto a genio al ragazzo, anche se da adolescente aveva iniziato ad interessarsi al genere scrivendo racconti a tema per il giornaletto scolastico.
Annotando gli ultimi appunti sul suo taccuino si alzò quasi di scatto, rimise lo scatolone a posto e si diresse verso le scale.
Aveva passato quasi un'ora a spulciare vari fogli di giornale e riteneva di aver trovato un bel po' di materiale per buttare giù due righe da far leggere alla tartaruga gigante.
Salendo intravide nuovamente l’anziana bibliotecaria e pensò che avrebbe dovuto assolutamente strapparle qualche informazione in più sulla donna nella foto.
Tornò al bancone dell'ingresso, si mise in fila e attese il suo turno ripassando a mente le domande da porre alla ex donna delle pulizie dell'Illusion d'ombre.
Appena la bibliotecaria lo vide arrivare gli domandò:
- Allora Signor Reeson, ha trovato qualcosa di interessante?
Thomas sorrise e mostrò il taccuino, tamburellando sul nome della cantante.
- Lei conosceva questa ragazza?
L’anziana signora rimase qualche secondo a fissare il nome indicato e poi, con fare indeciso, rispose:
- Mhmm…certo e chi non la conosceva. Arrivò in paese in primavera.
- Si diceva che appartenesse ad una importante famiglia, suo padre era anche un deputato, vero? - approfittò Thomas appoggiando entrambe le mani sul bancone.
- Si, è vero. Suo padre era una persona molto influente e lei era scappata di casa per intraprendere la carriera di ballerina.
- Penso che non fosse molto contento della scelta di sua figlia - replicò Thomas tirando indietro la schiena.
- Oh no, sicuramente si aspettava un futuro diverso - rispose la bibliotecaria gesticolando con le mani.
- Aveva un fidanzato?
- Si vociferava di qualcosa ma non sono sicura.
- In che senso? - replicò Thomas con un'espressione sempre più curiosa.
- Nel senso... beh, le voci girano e non sempre sono vere. Si pensava che avesse una relazione con il figlio del proprietario del teatro.
- Come si chiamava?
La vecchia signora, spostando gli occhi in alto a destra come se stesse scavando nella sua memoria, aggiunse con voce incerta:
- Non ricordo di preciso il suo nome, era un ragazzo molto introverso. Però mi ricordo che iniziò a venire più spesso in teatro dopo l’arrivo di Natalie.
- Lui che fine ha fatto? Il ragazzo intendo. Era lì la sera dell’incidente?
- Io dovevo iniziare il turno alle 23, un'ora dopo l’incidente e quindi non so chi c'era in quel momento.
- Come si chiamava il proprietario dell'Illusion d’ombre?
- Ernest, Ernest Dalton. Era un uomo gentile e affascinante e molti gli attribuivano diversi flirt con le cantanti che scritturava. Povero uomo, la moglie si suicidò sette anni prima e lui dovette crescere da solo suo figlio.
- Capisco, non sa che fine ha fatto suo figlio?
- No, mi dispiace. Il teatro chiuse poco dopo e non si è saputo più nulla di loro.
- Ok, la ringrazio. È stato davvero utile parlare con lei. Adesso devo andare. Buona giornata!
Thomas fece un cenno con la mano e si avviò all'uscita.
- Altrettanto a Lei - rispose l’anziana signora ricambiando il saluto.
Scendendo le scale, Thomas si ritrovò sulla via principale della città e cercò di pensare alla prossima mossa.
Riaprì il suo taccuino e scrisse quello che aveva finora scoperto.
Batté la matita sul foglio una volta finito di scrivere:
- Ora mi servono le informazioni su Dalton e suo figlio.

6 

C'era qualcosa in quelle sue movenze, in quella sua voce vibrante, che gli scaldava il cuore, che lo rendeva irrequieto e ardente di desiderio, ingarbugliandogli non solo la lingua ma anche i pensieri. Confusione: questa, fra tutte, era la condizione che più detestava di se stesso. E la prima volta che lei gli rivolse attenzione, una dea dalla pelle candida come il latte e liscia come la seta, James gliela mostrò tutta la sua confusione. (chi è james?)
- Un nuovo ammiratore questo qua? - lo annunciò con disprezzo Holland, avvenente, giovane, volto rasato e baffi curati la cui nerezza sfumava all'ombra di un borsalino grigio fumo.
Fu allora che li vide. James vide in tutta la loro magnificenza quei due profondi pezzi di cielo indaco che ora scrutavano soltanto lui, impacciato e smilzo ragazzetto con un mazzo di rose in pugno, unico esile scudo alla sua timidezza. Se ne stava fermo sull'uscio James l'impacciato, non osando un solo passo dentro quel camerino popolato da dive, fronzoli, trucchi, colori e profumo, profumo di donna. 
Al fianco di Natalie stava Nathan Holland, muso carico e fiero di una sua qualche indefinita e troppo ostentata superiorità.
- Fuori di qui Dalton, se non vuoi che chiami tuo padre! - lo spintonò ora Holland, spargendo una nuvola di petali rossi con una manata alla composizione floreale. - Le signore non gradiscono d'esser disturbate mentre si preparano per lo spettacolo.- finì chiudendogli la porta in faccia.
Il legno scuro e la targhetta dorata cui erano incisi i cognomi ''Rochester, Bolton, Fray'' le tre rinomate star del locale, assieme ai profondi occhi di cielo di Natalie Rochester erano tutto ciò che aleggiava nel suo campo visivo e nella sua mente sperduta.
James riprese fiato, intontito, pochi gambi sgualciti tra le mani quale pegno d'amore svanito. Nulla poteva una nullità come lui di fronte a Nathan Holland, fascinoso e benestante uomo d'affari tanto avvenente quanto stronzo e bastardo. James ripercorse i suoi passi, il cuore in gola colmo di delusione e rabbia, le proprie catene mentali che lo legavano al suolo a strisciare come i vermi. 
Di valore, il ragazzo, possedeva null'altro che il nome: James Dalton. E curioso a dirsi erano più i problemi che i benefici ad ammassarsi nella sua inutile vita.
Uscì dal retro, assaporò l'aria fresca, le luci sgargianti e le ombre svelte che scivolavano sull'asfalto bagnato ad ogni bagliore proveniente dall'interno dell'Illusion d'ombre. 
Prese il pacchetto di sigarette dalla tasca, l'accendino... Una sensazione piacevole, come un peso che si levava dal petto prima costretto sotto un macigno. Fece danzare il fuoco, ne accese una ed inspirò a fondo. ''Mi picchierebbe mio padre'', pensò tra sé, ''se mi vedesse ancora con queste in mano. Un uomo fatto, questo io sono, e nemmeno una fottuta sigaretta posso godermi. Fossero fatte di bolle di sapone'' continuò a vagare col pensiero dipingendosi un mezzo sorriso, ''allora sì che potrei godermele in santa pace...''.
Il fumo si disperse nell'aria fresca, volando via, alzandosi verso l'alto come tanto avrebbe voluto poter fare James. Alzare la testa ed imporsi al mondo, senza tremare, senza avere la bocca impastata dalle parole e la mente infangata dalla confusione e dalle paure. Soltanto nella sua solitudine James era una persona, una normale. Mentre tutte le altre volte qualcosa dentro di lui lo fermava, lo bloccava, lo atterrava rendendolo ridicolo, inetto, stupido, un mentecatto di fronte al padre e davanti alla gente.
''Il figlio scemo di Ernest Dolton'' si sentiva chiamare quando il padre era lontano. ''L'imbecille, il demente, l'handicappato, il mongoloide". Una grandinata di pietre contro il suo fragile essere, una sequela di anelli che andavano ad aggiungersi rinforzando quelle catene mentali che gli facevano baciare l'asfalto, lo rendevano nient'altro che un amante della polvere, della merda, delle suole di chiunque volesse mettergli i piedi in testa.
Trasalì quando una mano gli si posò sulla spalla. ''Mio padre, o il signor Rey, o David, o Michael. Stupido, stupido, stupido. Non dovevi farti vedere col fuoco in mano davanti al club. Altre botte, altri calci, altro sangue...''.
- Ciao James. - gli disse invece delicatamente una voce che conosceva fin troppo bene, calda e dolce come un tramonto estivo. - Non volevo spaventarti, devi scusarmi... - continuò Natalie, accortasi di averlo spaventato.
Preso alla sprovvista dai fatti che lo avevano colto senza alcuna logica plausibile, a lui che poco prima aveva temuto il peggio immaginando ancora una volta le fredde mattonelle bianco lucide sporche del suo sangue, ora tremava, ma di gioia, di euforia. Niente punizioni per James, il figlio stupido di Ernest Dolton. Natalie stava rivolgendosi a lui, per la prima volta, soltanto a lui.
-C, c, c, cciao - riuscì a rispondere, sguardo basso, sigaretta tolta nervosamente dalla bocca e gettata a terra impulsivamente. - Che, che, che ccci ffai tu qui?- continuò non osando incrociare quei due zaffiri che tentavano di inchiodarlo ai suoi, e concentrandosi soltanto sulle due labbra di fuoco che gli stavano rispondendo.
- Sei stato gentile, ecco, a portarmi quelle rose. Mi spiace per quel che ha fatto Holland. Vedi lui è...-.
Solo in quel momento, in quel singolo momento di dubbio nella sua voce, James si accorse che qualcosa in lei non andava. Era incrinata dentro, qualcosa nella sua perfezione, nella sua innocenza e purezza era stato spezzato. Lo ritenevano uno stupido inetto, ma James le persone le sapeva ascoltare, gli riusciva di leggerle soprattutto.
- Dopo lo spettacolo aspetta un'ora dopo che me ne sarò andata- riprese Natalie. -Sto a Highway Street, numero 14. Ti aspetterò lì. Ti prego, bocca chiusa.- disse quasi in un bisbiglio, guardandosi furtivamente intorno. Gli posò un delicato bacio sulla guancia, cedendo ad un sorriso rapido al contatto con la sua peluria ispida. Poi se ne tornò dentro, perdendosi nell'ombra del club, la lunga gonna scura che ondeggiava assieme alle sue curve mozzafiato.
Gli ci vollero parecchi minuti per riordinare le idee, per comprendere ciò che era accaduto. Natalie, la donna perfetta, la donna dei suoi sogni, era appena corsa da lui spaventata e intimorita, invitandolo a casa sua per chissà quale misteriosa ragione. Tra tutti si era rivolta a James, il figlio scemo di Ernest Dalton, l'imbecille, il demente, l'handicappato, il mongoloide, lo stesso che aveva rimediato una figura orrenda presentandosi con un mazzo di rose sgualcite al suo camerino dopo innumerevoli tentativi per trovare anche un solo filo di coraggio, rimediato infine con qualche bicchiere di alcol forte e un po' di menefreghismo.
James Dalton non sapeva ancora cosa sarebbe accaduto al numero 14 di Highway Street, ma era già certo che da lì in poi tutto sarebbe cambiato.

7

Il pranzo gli era rimasto sullo stomaco a lungo, difficile da digerire quanto odioso da buttar giù tra una forchettata e l'altra. Un pollo ai peperoni troppo secco e freddo per essere gustato, troppo sbagliato persino per venir digerito. E con lo stomaco gonfio per tutto il pomeriggio Thomas si era quasi assopito mentre la barbosa monotonia della voce di padre Francisco, col suo spento accento del sud, raccontava qualche stralcio riguardo la vita di un certo James Dalton, figlio del proprietario dell'Ilusion d'Ombre. 
Le sue parole fluivano fuori lente, come macigni, e Thomas gliele doveva tirare fuori tutte a fatica, in quel piccolo antro ombroso e gelido della cappella che sorgeva a poca distanza dal famoso club ormai decadente. Il vecchio sacerdote, che ne aveva viste parecchie in vita sua, ricordava qualche informazione che poteva tornargli utile, se solo non fosse stata più volte confusa con le vite problematiche delle altre migliaia di persone che si erano confessate alle sue orecchie pelose e afflosciate.
James era sparito da tempo, su questo il prete e i suoi appunti erano d'accordo. A quanto si diceva aveva fatto perdere le sue tracce subito dopo l'incidente, poiché tutti i sospetti ricadevano su di lui.
Era un ragazzo disturbato dicevano, venticinque anni o poco più, che aveva più volte causato piccoli problemi al padre in quanto smodatamente innamorato del fuoco. Facendo due più due quel caso era così stato bollato da chi aveva indagato in precedenza, e certamente non era quella la conclusione che Thomas andava cercando. Troppo sbrigativa, troppo inconsistente. Figure potenti e celate quali Mr. Rochester, padre della ragazza diva, o Tiberius Rockfield, vecchio poliziotto assiduo frequentatore del'Illusion d'Ombre, con tanti scheletri nell'armadio quanti erano i segreti che si era trascinato nella tomba, erano di certo pretendenti più affascinanti. O ancora l'interessante Nathan Holland, potente uomo d'affari indagato e mai accusato per innumerevoli frodi e svariati omicidi efferati verso persone di spicco nel mondo delle scommesse sportive, nonché amante della bella Natalie, naturalmente.
Queste erano le storie che Thomas voleva trovare, e tutti questi personaggi avevano qualcosa che li accomunava guarda caso a James: l'odio. Ognuno per differenti motivi, non c'era dubbio, ma tutti, persino il padre di lui, con la voglia impellente di sbarazzarsi di quel povero disgraziato per chissà che ragione. Tali erano le strade che si profilavano tramite le parole di padre Francisco, cui erano stati confessati a cuore aperto nefandezze (e preziose testimonianze) di ogni sorta da un'infinità di personaggi che frequentavano il club.
Di certo, pensava Thomas, le coscienze troppo sporche potevano essere lavate solo da un sacro rappresentate di Dio. Quale miglior informatore quindi se non il vecchio amico del deceduto Ernest Dalton, religioso, obbediente, e soprattutto corrotto con la mente annebbiata dall'età, dai soldi e dalla droga? (?!?)
I tasselli pian piano iniziavano ad ordinarsi, e mentre il cielo cedeva all'imbrunire e lo stomaco finalmente vuoto reclamava un pasto decente Thomas si diresse al proprio alloggio, speranzoso di posare il suo sguardo stressato e non solo quello sui piccoli seni della ragazza alla reception. Prima però, un'occhiata andava data al vetusto luogo del delitto.

8

Il teatro con la sua insegna era dall'altra parte della strada, ma il vecchio non era lì a presidiarlo come al solito.
Thomas attraversò la strada e si avvicinò a scrutare i pannelli fatiscenti che una volta accoglievano le locandine del teatro; erano ricoperte di polvere, e dentro non si scorgeva nulla, neanche un frammento di carta nel telaio, solo polvere. Si appiccicò al vetro dell’ingresso e nell'androne c'era solo buio, tutto lo spazio era ingombro e si intravedevano a fatica vecchi armadi o poltrone di legno divelte dalla platea. Sarebbe stato impossibile passare di là, eppure le porte a vetri erano bloccate con una catena arrugginita e un pesante lucchetto.
Prima di recarsi a Middlesbrough, Thomas aveva indagato sul valore finanziario del teatro e sul proprietario. Il teatro era situato in una zona centrale e per giunta edificabile, non era strano quindi che in molti volessero comprarlo per abbatterlo e costruirci magari un centro commerciale, ma tutti i contratti di vendita erano stati vincolati sin dall'inizio alla nuda proprietà a vantaggio d'uso di James Dalton, suo padre voleva garantirgli un futuro o almeno una casa.
Thomas aveva chiesto alla bibliotecaria il nome del proprietario per saggiare l’autenticità delle sue informazioni, chiedere qualcosa che già sapeva era il suo metodo per verificare un informatore.
Girò intorno al teatro per trovare un’uscita secondaria e vedere se riusciva a forzarla.
La stradina laterale che dava sul retro era molto stretta e fra l’altro piena di rifiuti portati lì forse dal vento. Arrivò all'angolo e prima di svoltare sentì un cigolio, si fece indietro e si nascose contro il muro del teatro.
Si sporse appena e vide il vecchio che usciva dal retro del teatro con una sedia e imboccava l’altra stradina laterale che portava sulla strada principale.
Per fortuna Thomas preferiva vestire casual e con scarpe da ginnastica, cosicché il vecchio non udì i suoi passi. Thomas raggiunse la porta posteriore prima che si richiudesse e entrò nel teatro.
Gli ci volle un po' per abituarsi alla semioscurità creata dalla luce lunare che proveniva da qualche lucernario chissà dove. Si trovava in una grande stanza che era stata adibita a deposito scenico, c’erano quinte e oggetti di scena. Seguì un corridoio e raggiunse i camerini degli attori con ancora gli specchi alle pareti, poi entrò in quella che doveva essere la sala costumi con alcuni appesi a delle grucce e molti altri in bauli aperti.
All'interno del teatro c'era molta meno polvere, sembrava che qualcuno tenesse tutto in ordine per ricordare i bei tempi e forse farli tornare.
Thomas salì una scaletta e arrivò al retropalco, superò il fondale sbiadito e davanti a lui si aprì una voragine nelle assi di legno. Il palcoscenico non era stato più ricostruito. Fece alcuni passi intorno alla voragine mentre le assi di legno scricchiolavano sotto i suoi piedi. All'interno c'era solo buio, rimase a fissarla per un tempo indefinito, sperava di vedere apparire il fantasma di Natalie o cercava di immaginare la donna sepolta dalle macerie e avvolta dalle fiamme.
Una musica soave ruppe il silenzio, un trio di donne cantava un ritornello orecchiabile fatto di semplici vocalizzi, quasi si stessero solo esercitando. Thomas voltò d'impulso lo sguardo verso la platea, ma non vide altro che file di vecchie poltrone con qualche buco qua e là. Poi una figura scura entrò da un lato e si incamminò fra due file di poltrone come se volesse raggiungere il corridoio centrale. La figura sfiorava la stoffa delle poltrone senza parlare e camminava senza guardare Thomas, raggiunse il corridoio centrale e allora posò il suo sguardo su di lui. Entrambi gli uomini celati dalla semioscurità.
– Questo è ciò che vuoi? – disse il vecchio. – O sei qui per la storia del fantasma?
Thomas rimase in silenzio.
– Forse sei qui per convincermi ad andarmene?
– Sono qui per scrivere la storia di Natalie. – disse Thomas.
– Davvero? Non ti credo, la storia di Natalie è già stata scritta e non interessa più a nessuno. A meno che non abbiate trovato un altro disco.
– Quale disco? – domandò Thomas.
– Comunque devi andartene.
Detto questo, la figura corse verso l’altro lato del teatro passando fra altre due file di poltrone.
Thomas individuò la scaletta che portava in platea, scese giù e si mise all'inseguimento dell’uomo.
Corse lungo tutto il fianco del teatro finché non trovò una porta che dava in un labirinto di corridoi che conducevano alle gallerie, ai loggioni e ai palchi degli spettatori.
Dal palco in cui era entrato si poteva ammirare tutto il teatro dall'alto, la vista era tale che ne rimase incantato.
Una serie di passi risuonarono alle sue spalle, si voltò ma non vide nulla. Una voce in lontananza gli ripeté che doveva andarsene mentre in sottofondo il trio di donne cominciava una nuova canzone.
Thomas corse e cercò di seguire il rumore dei passi, scese delle scale e si immerse di nuovo in uno dei corridoi del labirinto a livello della platea. Presto i corridoi apparvero tutti uguali finché, in fondo ad uno di essi, scorse una porta che si chiudeva. La raggiunse, l’aprì e vide la figura dell'uomo allontanarsi fra corde, pesi e altre quinte. Thomas accelerò e non staccava gli occhi di dosso all'uomo, la distanza fra loro si accorciava finché l’uomo non scomparve dietro un alto tendaggio, un vecchio sipario.
Thomas scostò il pesante tendaggio con una mano senza rallentare e cadde con l’immagine della voragine negli occhi. Fu una brutta caduta, su un fianco, che gli immobilizzò tutto un lato del corpo. Sentiva una fitta allo sterno e credeva di essersi incrinato una costola, cominciava anche a mancargli il fiato.
L'uomo apparve sul ciglio della voragine e guardava in basso, verso di lui.
– Questo non è posto per te, ragazzo.
Thomas rise di un riso amaro. – Forse, – disse, – ma credo che qui ci morirò.
– No. – Disse l’uomo. – Qui non deve morire nessun altro. Vado a prendere una scala e ti porto fuori dal teatro.
– No! Aspetta! – Disse Thomas con veemenza. Trasse di tasca il suo portafogli e lo lanciò sul palcoscenico.
L’uomo raccolse il portafogli e tornò a guardare Thomas.
– Vuoi pagarmi?
– Lì dentro c’è la mia carta d’identità, il mio tesserino da giornalista, il mio biglietto da visita con i numeri del mio giornale. – Thomas si fermò per prendere fiato. – Sono solo un giornalista e voglio solo scrivere la vera storia di Natalie. Non credo che sia quella già scritta, – prese di nuovo fiato, – perché io non so niente di quel disco e, credimi, ho letto tutto quello che c’era da leggere su Natalie e “Illusion d’Ombre”.
– Non puoi aver letto tutto.
– Hai ragione, ma a me interessa solo quella storia. Puoi farmi morire qui, puoi farmi morire per strada, puoi portarmi in ospedale, ma prima raccontami la storia.
L’uomo scomparve e tornò dopo poco con una scala che calò nella voragine.
– La storia prima. – Disse Thomas. – Ti prego, James, la storia prima.
– Nessuno mi ha più chiamato così da molto tempo. – Disse l’uomo, poi sedette sul ciglio della voragine accanto alla scala e cominciò a raccontare.
– Senti queste tre donne che cantano? Sono Natalie Rochester e le sue amiche Emma Bolton e Deborah Fray in una incisione di prova per il lancio del loro disco. La gente faceva la fila per venire a guardarle e ascoltarle, i loro spettacoli erano i più richiesti e loro erano molto corteggiate. All'epoca ero un giovane ragazzo, figlio del proprietario del teatro, e potevo muovermi liberamente dietro le quinte. Mi sono innamorato subito di Natalie, dei suoi splendidi occhi e del suo sorriso, ma ero impacciato e non mi riuscì di fare la prima mossa. Fu lei a rivolgermi la parola e lo fece per chiedermi aiuto. La vita da soubrette le piaceva, le piaceva cantare, ballare, stare sul palcoscenico e far divertire la gente, ma voleva vedere il mondo, lavorare in altri teatri e soprattutto voleva allontanarsi da un uomo cattivo.
– Chi?
– Non me l’ha mai detto, ma credo si trattasse di Nathan Holland, un uomo d'affari che le girava intorno. La sera dell’incidente, io e Natalie dovevamo scappare insieme, ma qualcuno che non voleva lasciarla andare, presumo qualcuno dominato dalla gelosia, probabilmente ha ascoltato i nostri piani di fuga e preferiva vederla morta che con un altro uomo. L'incendio non solo è stato doloso, ma è stato anche appiccato con un tempismo eccezionale. Quella sera il trio si esibiva per primo e faceva uno spettacolo lungo con diverse canzoni alternate a scenette comiche. Se l'incendio fosse stato appiccato un minuto più tardi, il palcoscenico sarebbe crollato quando Natalie era già tornata in camerino. La polizia non ha mai trovato il colpevole, molti facevano illazioni, qualcuno ha puntato il dito anche contro di me… poi è arrivata la seconda guerra mondiale ed è stata l’occasione buona per andarmene via da questo posto e cercare di dimenticare. Sono tornato con il corpo segnato dalla fatica e dalle ferite, ma i miei ricordi sono intatti, il mio teatro è ancora qui e passo le giornate in compagnia di questo disco, a guardare la gente che passa per strada e a spaventare i ficcanaso. C’è chi vuole il teatro, chi vuole il disco per lanciarlo o per conservarlo gelosamente, c’è chi cerca il fantasma di Natalie... tu volevi la storia, ora l’hai avuta. –
L’uomo scese la scala, si caricò Thomas addosso e lo riportò su, fin fuori dal teatro dove aspettò con lui l’ambulanza.
Prima di separarsi dall'uomo, Thomas gli chiese se poteva scrivere la storia e renderla pubblica.
– Scrivila, ragazzo. – Disse James Dalton. – Non credo che riuscirò a raccontarla a molti altri.
Thomas andò via dentro l’ambulanza e l’uomo rimase lì, seduto davanti al suo teatro.

Commenti

  1. Questo è il racconto così come l'abbiamo modificato. Non ho ancora avuto tempo di leggerlo per intero, appena possibile lo farò e apporterò, nel caso, qualche piccola modifica per renderlo più lineare e armonico.
    Qualsiasi obiezione, commento e miglioria... commentate pure.
    :)

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  2. Devo dire che a me piace :) Leggendolo "a pezzi" non mi ero resa conto che fosse venuto così bene, quindi tantissimi complimenti a tutti i partecipanti!

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  3. Non per dire, ma mi sembra che non siano state riportate le modifiche della revisione #10 (la vendetta) e sulla revisione #11 stiamo ancora discutendo.

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    1. Sì, sì lo so. Infatti sto apportando le modifiche approvate man mano. Questo riepilogo l'ho pubblicato per avere uno sguardo d'insieme ma non è definitivo.

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    2. Del Revisione #10 (la vendetta) nessuno ha più commentato, pensavo andasse bene così (poi c'è sempre da contestualizzarlo e modificarlo nell'insieme).

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